Se è vero che il rapporto Maestro-Allievo è una delle condizioni fondamentali per trasformare un corso di arti marziali in un Dojo è anche vero che spesso si trascura, e non si dà la dovuta importanza alla figura del Senpai.
Senpai: “Colui che precede un gruppo di persone”
SEN colui che precede PAI un gruppo di persone
Il ruolo del Senpai
Da sempre in Giappone, in tutte le attività il Senpai è il collega anziano, o superiore, che precede e guida i compagni impegnati nella sua stessa attività, mentre il Kohai è il collega giovane o che segue il Senpai e da questi viene consigliato ed addestrato.
In Giappone questo rapporto è molto sentito, tanto da essere presente in tutte le componenti della società, negli uffici, nell’esercito, nelle scuole come in qualunque gruppo di persone che si uniscono per uno scopo comune e di conseguenza anche nelle arti marziali.
Quando le arti marziali in Giappone si trasformarono in Gendai budo furono adottate le graduazioni e colorazioni di cinture affinchè si potesse schematicamente identificare gli anni e l’esperienza di pratica di ogni allievo iscritto al Dojo, in modo da permettere ai Senpai di individuare i neofiti a cui poter dare un aiuto per quanto concerne la pratica.
Il Senpai deve indicare con il suo atteggiamento e con la sua esperienza, un modello da seguire. Se il Senpai si comporta male o fà degli errori, il Kohai ripeterá gli stessi errori, perché gli allievi sono lo specchio dei Maestri ed i Kohai sono lo specchio dei Senpai.
Talvolta capita che praticanti di maggiore esperienza, provino un malcelato fastidio nel praticare con chi “non è al suo livello” ritenendo questo allenamento una perdita di tempo nel loro percorso marziale, mentre in realtà i gradi Dan dovrebbe correre verso i gradi Kyu per restituire, in un certo modo, quello che loro in passato hanno ricevuto dai loro Senpai.
La parola chiave per un senpai deve essere responsabilità
– Responsabilità nei confronti dei kohai.
Un Kohai impara dalle nostre azioni, il Maestro \ Sensei indica la strada, ma anche il senpai, essendo più anziano, la indica ai nuovi arrivati che spesso si rivolgono a lui piuttosto che al Maestro, per una sorta di timore reverenziale nei confronti del Sensei.
Al Senpai il compito di guidare le cinture inferiori a trovare il loro posto e il giusto atteggiamento nei confronti del Dojo; perchè una comunità che non ha cura di accogliere e far crescere i suoi nuovi arrivati è destinata a collassare su se stessa e inevitabilmente morire
– Responsabilità nei confronti del sensei
Il Sensei cerca di diffondere la propria visione dell’arte marziale, e con l’aumentare degli allievi la necessità di avere dei bravi allievi anziani che facciano da Senpai per i nuovi arrivati diventa fondamentale.
Il Sensei per quanto valido resta pur sempre un uomo con solo due occhi, mentre avere dei bravi Senpai moltiplica gli occhi e riduce il tempo di apprendimento dei Kohai
– Responsabilità nei confronti del Dojo/scuola.
Un Dojo con gli anni diventa un’entità a se stante e se un Sensei è forse il cuore e la mente del Dojo i Senpai possono essere le sue gambe mentre i Kohai le braccia. Saranno le gambe a far muovere il Dojo sul sentiero del futuro senza di loro la scuola sarà costretta a essere “immobile”.
E’ grazie ai Senpai se un Dojo potrà incrementare le sue attività e farsi conoscere.
Tutti noi siamo nel contempo Senpai, Kohai e rispetto a qualcun altro, ed è importante ogni tanto riflettere su questa condizione, nella via delle arti marziali con l’aumentare dell’esperienza e dei gradi non aumentano quindi i diritti ma solamente i doveri.
Quella che noi europei chiamiamo in modo molto semplificativo ed errato, semplicemente palestra, ha per i praticanti di arti marziali un significato ben più profondo e significativo: è il luogo (jō) dove si segue la via (dō). Ereditato dalla tradizione buddista cinese (il luogo dove il Buddha ottenne l’illuminazione) venne ereditato dal Bushidō, ovvero la via del Bushi (Il samurai, o appunto Bushi, ha un codice comportamentale estremamente particolareggiato che in Europa trova l’equivalente nel cavaliere cortese medievale) tramite l’influenza della pratica Zen (la pratica buddista giapponese).
Il Dōjō è quindi visto sia come il luogo dove ci si allena e si apprende ma soprattutto come simbolo del profondo rapporto che lega il praticante al maestro che insegna (Sensei 先生 ”Nato prima” ) e all’arte marziale che si sta apprendendo. Quindi un luogo di crescita innanzitutto spirituale e morale oltre che fisica. La struttura gerarchica all’interno del Dōjō è, anche per l’influsso del Bushidō, rigida ed organizzata; il Sensei ne è il punto di riferimento e colui che stabilisce norme e regole, coadiuvato da altri insegnanti, suoi allievi che hanno raggiunto una conoscenza elevata e dagli allievi che praticano da più tempo (Senpai 先輩 ovvero “senior”) mentre gli allievi meno esperti (kōhai 後輩, “junior”) apprendono le regole dal maestro e si esercitano assistiti dagli altri insegnanti e dai senpai.
E’ importante notare come l’apprendimento dell’arte (quale che sia: Kenjutsu, Aikido, Iaido etc), nel Dōjō, implica l’apprendimento di regole etiche e morali quali la pulizia personale, la correttezza ed educazione nei confronti degli altri, equanimità nei rapporti con gli altri allievi a dispetto della condizione sociale “esterna”, assistenza ai kōhai, che vengono trasmesse dal maestro e dagli allievi che praticano da più tempo (Senpai): in primo luogo tramite l’esempio.
Quindi il praticante che si appresta ad entrare nel Dōjō entra in un altro mondo, dove deve purificarsi di quanto viene dal mondo esterno, più prosaico, per concentrarsi esclusivamente sull’apprendimento; anche per questo, oltre che per evidenziare il fatto che tutti gli allievi sono uguali agli occhi del maestro, si indossa un Keikogi (vestito da pratica) uguale per tutti o che si differenzia, e solamente in alcune scuole, per il livello di apprendimento dell’allievo.
Zanshin si traduce in “ZAN”= mantenere, “SHIN”= spirito.
Letteralmente “mantenere lo spirito all’erta”. Il vero Zanshin nasce da una concetrazione di tutti i i sensi rivolta ad un partiolare momento o ad una determinata azione, fisica e/o mentale “qui ed ora”, duratne il quale il soggetto tiene sotto controllo con lo sguardo l’avversario e si tiene a dovuta distanza da esso.
Letteralmente “mantenere lo spirito allʼerta”. Il vero Zanshin nasce da una concentrazione di tutti i sensi rivolta ad un particolare momento o ad una determinata azione, fisica e/o mentale “qui ed ora”, durante il quale il soggetto tiene sotto controllo con lo sguardo l’avversario e si tiene a dovuta distanza da esso.
Il momento di massimo Zanshin si verifica al termine di un combattimento (kumi) o di un kata.
Lo Zanshin delle Arti Marziali è strettamente legato al MI Kamae (postura del corpo esterna) e Ki Kamae (postura psicologica interna).
La perdita dello Zanshin equivale ad aprire una falla (KYO) nella propria difesa che potrebbe essere sfruttata dall’avversario per abbatterci.
Lʼattenzione ed il controllo dello Zanshin possono essere espressi anche con le parole e le azioni che si compiono nella società civile. Un atteggiamento non offensivo verso il prossimo, che non crea animosità e rivalse è ricco dello Zanshin di cui sopra.
Un famoso monaco diceva sempre durate la pratica dello Zazen: “Attenzione! Attenzione! Attenzione!”